venerdì 23 gennaio 2009

Missoni e Valentino Fashion Group rinnovano la loro partnership

Missoni e Valentino Fashion Group rinnovano la loro partnership per lo sviluppo di M Missoni, seconda linea della Maison fondata nel 1953 da Ottavio e Rosita Missoni.
L’accordo, decennale nella durata e lungimirante negli intenti, testimonia la volontà di entrambi di proseguire nella già intrapresa strategia di sviluppo globale, creando sinergie di valore con partner che ne condividono l’approccio e la visione.
La collaborazione tra le due realtà, avviata nel 2005, ha portato da subito grandi benefici. Missoni e VFG hanno lavorato strettamente per rafforzare la notorietà del brand Missoni nel mondo, qualificarne l’immagine ed avvicinarsi sempre più al proprio consumatore. Oggi più che mai, con il nuovo accordo, la partnership assume connotazioni strategiche, orientate ad enfatizzare gli elementi di forte distintività del marchio e delle diverse linee che lo compongono, in totale sintonia con la filosofia di Missoni.
Un’offerta diversificata, per un target ben preciso, risultato della collaborazione di due grandi aziende. “E’ un traguardo questo che abbiamo raggiunto – dichiara Vittorio Missoni - perfettamente in linea con la politica di sviluppo globale avviata oramai da tempo, che ci vede sempre attivi e determinati grazie alla qualità del nostro prodotto, all’apprezzamento che il mercato mondiale ci riconosce ed al valore della collaborazione di partner quali Valentino Fashion Group. Sono certo che insieme raggiungeremo notevoli risultati”.
Non diverso il pensiero di Stefano Sassi, Amministratore Delegato di VFG: ''MMissoni rappresenta per la Valentino Fashion Group il perfetto connubio tra un marchio di alto contenuto creativo e qualitativo, la cui produzione e commercializzazione rientra nei nostri obiettivi strategici, e la capacità del Gruppo di gestire e valorizzare i marchi in portafoglio. Questo rinnovo di lungo termine esprime la fiducia che Missoni ha in Valentino Fashion Group e permetterà di dare una forte accelerazione allo sviluppo della rete retail oltre che di proseguire negli ambiziosi intenti di crescita globale del marchio.''

lunedì 19 gennaio 2009

Ecce homo, picciotto o rockettaro

Pete DohertyImage via WikipediaAvolte ritornano. Barba di tre giorni, baffo che conquista, sguardo malandrino. Eccoli i seduttori bruni, muscolosi e tozzi che fanno girare la testa alle donne. Targati doc con lo slogan «Italian stallon» stampato sulla maglietta - che fascia i pettorali - sopra la foto di Silvester in posa da culturista. Dolce e Gabbana rilancia il «masculo» siculo, il picciotto sanguigno e ruspante, figlio di quel trend al testosterone promosso, sempre dai due stilisti, qualche anno fa con le scritte «Italians do it better» (gli italiani lo fanno meglio) su una marea di T-shirt.

«Virilità fashion atto secondo», potrebbe essere il titolo della collezione ritorno alle origini che ieri ha sfilato in passerella, ma anche il riassunto di un mondo adulto - dai 25 ai 40 anni - teso a recuperare le sue stigmate maschie. Un mondo che nel linguaggio estetico si contrappone a quello dei giovanissimi fan del rock british, alti e allampanati, arruffatelli e magrolini; aria fragile ma non dannata alla Pete Doherty. Son giunchi di salute quelli che da Burberry Prorsum recuperano le camicie bianche stazzonate con i pantaloni sottili di tartan tinto di nero, la pancerina di lana in vita uguale al proteggi collo ad anello dove i motivi scozzesi esplodono dilatati.

Voglia di tenerezza, di calore casalingo un po’ trasandato tradotto con grandi e soffici maglioni. In comune questi due tipi d’uomo, che s’incontrano sulle pedane dedicate al prossimo inverno, hanno il mood intimista. Anche il conquistatore che viene dal Sud è un romantico, riparte dai punti fermi come la famiglia e i veri valori. «Indossa smoking fatti di nastri intessuti al telaio, sintesi del bisogno di intrecciare relazioni autentiche, faccia a faccia con gli altri, come un tempo. Altro che Facebook. I contatti virtuali non fanno per noi, meglio dal vivo. Pochi ma buoni. Magari ricevendo in casa con abiti comodi. Oppure uscendo la sera con qualche tocco eccentrico alla Visconti, con i lampi dei colori da paramento», spiegano Dolce e Gabbana.

I Killer scandiscono la sfilata cantando «Human», sintesi perfetta di quest’uomo più umano che accorcia le distanze, piacevole da toccare e guardare quando passeggia la domenica vestito di nero, il vezzo antico del fazzoletto bianco stretto in mano come nelle immagini d’antan in bianco e nero che 25 anni fa hanno acceso l’estro dei Dolce e Gabbana. E black and white sono le foto dell’Inghilterra tranquilla, familiare e fumosa di Bill Brandt da cui ha attinto lo stilista di Burberry Prorsum, Christopher Bailey.

In momenti destabilizzanti come questo tutti cercano un’identità. Anche i ragazzi di Costume National scompongono e ricompongono il guardaroba per creare nuove formule fatte di ieri e oggi, di gilet tradizionali sposati a golf tricottati dalla nonna, magliette rock e pantaloni di vigogna, con gusto maldestro e attuale. L’abito per cercare lavoro? Un gessato of course, tre taglie di meno però, Navarra lo suggerisce con i calzoni corti che scoprono la caviglia.

Rude e country, altra faccia del maschio-macho, è il cowboy di Pignatelli a caccia d’oro in montagna. Un tipo alla «Cuore Selvaggio» che quando smette la tenuta da lavoro si veste come un nababbo, compra giacche tuxedo di pitone, passeggia ad Aspen con paltò di cachemire lunghi fino ai piedi, doppiati di volpe.

Il lusso spesso è nascosto nella ricerca certosina: sembrano di nabuck i giubbotti di C.P. Company in jersey di poliestere; sono in pelle termo saldata al cachemire i bomber di Trussardi effetto tatuaggio. Per intenditori arrivano le giacche di Jil Sander a forma di clessidra, sagomate al punto da far sembrare «fisicato» anche i più mingherlini.
LASTAMPA.it
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martedì 13 gennaio 2009

Dolce e Gabbana "Gli uomini? Li faremo pregare in ginocchio"

Gli stilisti annunciano la prossima campagna choc "Ci accuseranno di offendere la religione"

MILANO
Lavorano no stop, giusto una pausa panino e caffè all’ora di pranzo. D’altronde fra qualche giorno cominciano le sfilate maschili a Milano e loro due sono totalmente assorbiti da casting, prove, ritocchi alla collezione (in calendario il 17 gennaio). Ma un po’ di tempo per chiacchierare e raccontarsi Stefano Gabbana e Domenico Dolce lo trovano sempre. E, come accade da oltre vent’anni, parlano insieme, uno comincia il discorso e l’altro lo completa. In un travaso continuo di idee e battute. Si comincia dal tema di stagione, la moda uomo. «Ormai rappresenta il 50 per cento del fatturato del marchio, è diventata importante quanto quella femminile. Questo perché gli uomini sono cambiati tantissimo. Oggi sono più liberi, non hanno paura di essere giudicati. Entrano nei negozi e scelgono da soli, senza bisogno di consigli. Non è più come una volta che i capi griffati erano per gay e persone stravaganti. A sdoganarli sono stati gli sportivi, calciatori e non solo, traducendo i trend con un linguaggio popolare. Il primo che ha cominciato a osare è stato David Beckham con l’orecchino, un taglio di capelli diverso, l’uso dei colori... E poi via sono arrivati gli altri. Noi abbiamo vestito il Milan, la nazionale di rugby e beach soccer... Lo sport ci è sempre piaciuto. Io vado in palestra, ho dovuto smettere la boxe perché avevo male alle mani, ma adesso la riprendo; Domenico è impallinato con il calcio e la Formula Uno».

Come monitorate i desideri della clientela?
«Ci piace vivere la vita e siamo curiosi. Guardiamo tutto e tutti, ogni dettaglio ci dà spunti e idee. Non stiamo chiusi nel nostro guscio, usciamo, osserviamo i giovani nei locali, nei bar. Esattamente come facevamo 24 anni fa quando abbiamo cominciato».

Pensate che il made in Italy sia poco competitivo?
«Tutt’altro, abbiamo grossi nomi e notevoli fatturati in Italia: Armani, Prada... Siamo i più forti. In Francia c'è solo Vuitton che vende tanto, ma solo con la pelletteria».

Produrre in Italia è un fattore fondamentale?
«Se una cosa è fatta bene e ci piace la compriamo, non importa se è realizzata in Cina, Russia o India. Certo, il made in Italy resta il numero uno».

In questo momento di crisi non vi sentite in colpa a proporre articoli di lusso?
«No. Noi lavoriamo sul senso estetico, dobbiamo offrire un sogno. La creatività costa! Per distinguerci dobbiamo fare cose non facilmente copiabili, di conseguenza sono più costose. Tutto non è per tutti. La nostra storia è legata a un certo tipo di prodotto, non saremmo capaci di proporne un altro. Per esempio mandiamo in pedana giubbotti in coccodrillo da 30 mila euro che realizziamo su misura. C'è gente che li ordina, ce li chiedono circa una trentina di persone. Meglio che vendere magliette da 15-20 euro l'una».

Le vostre campagne pubblicitarie spesso sollevano polemiche - quella che sembrava simulare uno stupro è stata addirittura vietata in Spagna -. Perché usate un linguaggio così forte nella comunicazione?
«Il male sta negli occhi di chi guarda. Nell’87 la nostra pubblicità sui reggiseni fu criticatissima, si parlò addirittura di legge Merlin... Noi avevamo disegnato quei capi con innocenza, ricordando la corsetteria sicula delle nostre mamme. La prossima che uscirà a giorni ritrae alcuni uomini inginocchiati, in preghiera. Il fotografo Steven Klein ha riassunto con quella foto - citazione dell’inizio del film il “Gattopardo” di Visconti - l'essenza della nostra collezione barocca. Sicuramente diranno che offendiamo la religione. Invece potrebbe essere letta come un ritorno ai valori. E di questi tempi ce ne sarebbe tanto bisogno».

Ultimamente avete editato parecchi libri importanti, è un modo per rendere la vostra moda immortale?
«Sì. Più che diventare ricchi - già lo siamo e non ci dispiace - la cosa a cui teniamo maggiormente è quella di lasciare attraverso i libri fotografici un segno del nostro stile nella storia della moda».

Esistono ancora le icone?
«Sono scomparsi i personaggi di riferimento. Solo Madonna continua a essere un modello da imitare, l’unica che ha saputo adattare il suo stile all’evolversi dei tempi. Anche Victoria Beckham è un faro. E non è antipatica come sembra. La conosciamo da 10 anni, eravamo a cena l’altra sera al Gold con lei e i bambini che giocavano con i figli di amici nostri, è una easy. Come tutti gli inglesi sembra un po’ sulle sue, ma è solo timidezza. Una maschera di difesa che cade nel privato rivelando una donna molto piacevole».

Dolce e Gabbana, una coppia nel lavoro, ma non più nella vita. Come siete riusciti a mantenere un legame di complicità e amicizia così forte?
«Quando è finita la nostra storia sentimentale ci sono stati momenti difficili, come accade a tutti in queste situazioni. Poi abbiamo raggiunto un equilibrio affettuoso. C'è stato un momento in cui entrambi ci siamo venuti incontro. Il figlio del nostro amore è stato creare insieme la Dolce e Gabbana da cui non ci staccheremo mai! Facciamo la nostra vita, ma siamo come fratelli, anzi di più. Abbiamo passato Capodanno insieme con i nostri rispettivi partner, frequentiamo le famiglie uno dell’altro. Non possiamo stare divisi».

Non litigate mai?
«Uhh, un sacco, come sempre. Il rapporto a livello a personale non è mai cambiato, va oltre la fisicità e la sessualità. Litighiamo per una gonna o un pantalone. Domenico mi tiene il muso, a me passa molto prima, faccio una risata e me ne dimentico».

Avere figli è sempre uno dei vostri sogni?
«Sì. All’inizio era solo un mio desiderio, ora lo è anche per Domenico. Ma ne parleremo quando sarà il momento, non adesso».

Continuano a chiamarvi «giovani stilisti», anche se ormai siete cresciutelli, forse perché in Italia gli altri creatori affermati sono molto più vecchi di voi e il sistema lamenta che non ci sia un ricambio generazionale, quando arriva il momento di ritirarsi?
«Non c’è un’età, è una questione di mentalità, prima o poi comunque arriva. Non immaginiamo la vecchiaia senza lavorare, ma è giusto lasciare la nostra eredità a qualcuno di più giovane, magari aiutandolo dietro le quinte. Di talenti in erba ce ne sono tanti. Non chiedeteci però a chi passeremo il testimone, è ancora presto».

Quali sono i vostri hobby?
«Abbiamo molti amici. Io adoro giocare a Monopoli e a carte: burraco, scala quaranta... mi piace viaggiare e sciare. E poi dipingo, non l’ho mai detto a nessuno. Disegno fiori, cuori, farfalle... alcuni quadri li tengo, altri li regalo. Domenico è malato di lavoro. Però quando stacca cucina, per altro benissimo, organizza tornei con la Wii della Nintendo... legge di tutto: gialli, romanzi, libri di moda».

Che cosa vi sta sullo stomaco del nostro Paese?
«Parecchie cose. In primis i servizi che non funzionano. Dalla sanità ai trasporti, alla difficoltà di fare un documento. Non ci illudiamo che cambino, l’Italia è così. Nonostante tutto siamo orgogliosi di essere italiani».

Che cosa pensate di Obama?
«Non lo conosciamo ancora abbastanza per esprimerci!».

Siete soddisfatti della Moratti?
«Il suo è un mestiere difficile, però è brava. In genere le donne in politica ci sono sempre piaciute... ma non facciamo nomi».

Voi avete detto che la moda non è più di moda, che cosa l'ha sostituita?
«I viaggi, il conoscere, la cultura. Ma la moda tornerà di moda molto presto. Intanto rimane un argomento di interesse, di vita. E noi andiamo avanti».

LASTAMPA.it
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domenica 11 gennaio 2009

Tendenze. Se tua moglie ti tradisce con un’amica…

Non è un fenomeno transitorio legato a un preciso periodo della vita di una donna. E non è una moda, e tantomeno un vizietto. Si parla della bisessualità.
Che sia un qualcosa di più profondo lo dice una nuova ricerca condotta, nell’arco di dieci anni, su 79 donne non eterosessuali. Lo studio partito dall’Università dello Utah, è stato poi pubblicato sulla rivista Developmental Psychology. Il risultato è quantomeno rivoluzionario: nelle donne bisex, l’attrazione per entrambi i sessi non subisce variazioni nel tempo. Il che vuol dire che una storia con un’altra donna è, per la donna, qualcosa di radicato nel profondo e non una trasgressione passeggera. Ma non si parla di omosessualità. Lisa Diamond, psicologa coordinatrice della ricerca, ha condotto le interviste personalemnte a partire dal 1995, su un campione di donne dello stato di New York tra i 18 e i 25 anni, che si definivano lesbiche, bisessuali o comunque non etero.

Ecco quanto riferisce la Diamond a ricerca ultimata: “Sono giunta alla conclusione che la bisessualità femminile, più che una fase, rappresenti una stabile “identità” di genere. Se si fosse trattato di una fase transitoria sarebbe emerso. Ci sarebbe stato un cambiamento di identità e di relazioni, invece il modello di attrazione non-esclusiva è rimasto inalterato, persino tra le donne che si sono sposate. Il che smonta la convinzione che si tratti prevalentemente di una condizione temporanea. Anche le donne etero, aggiunge Lisa Diamond- tendono infatti a sperimentare, più facilmente, desideri e comportamenti con persone dello stesso sesso. Ma se sono prevalentemente eterosessuali, si tratterà solo di esperienze che non apporteranno modifiche alla loro identità sessuale”. Vero è, in generale, che le giovani pero’ si sentono oggi sessualmente più libere di sperimentare, e questo porta ad avere esperienze prima di donne di altre generazioni. Quanto è destabilizzante o decisivo? Alessandra Corsini, psicoterapeuta: “Negli ultimi decenni è sicuramente aumentata l’ostentazione per la bisessualità contribuendo a dare l’impressione che questo comportamento sia in “uso” per mera trasgressione o per fenomeni di “moda”. Posso però affermare, senza tema di sbagliare che l’orientamento sessuale non può esser cambiato secondo la moda, ma si tratta di qualcosa insito nella nostra psiche, nel nostro codice genetico e che quindi fa parte della nostra personalità”.

Gli psicologi Marco Baranello e Emanuela Sabatini hanno condotto recentemente una ricerca sull’immaginario erotico delle donne. Dalla ricerca emerge una propensione delle donne eterosessuali a fantasie erotiche che includono rapporti con altre donne, arrivando addirittura ad un 75 per cento dei casi in cui le interpellate hanno, nelle fantasie, rapporti di tipo bisessuale, quindi sia con uomini che con donne. I curatori: “E’ possibile che ciò avvenga perché la quasi totalità delle donne ha sviluppato i propri desideri sensuali/sessuali nel contatto con la figura materna. La fantasia omosessuale, in questo caso, non fa altro che garantire una “continuità” naturale del contatto con il corpo materno”. “So di una ricerca condotta in Canada – prosegue la Corsini- secondo cui un nudo maschile, per una donna risulta molto meno eccitante e piacevole di un nudo femminile. La ricerca ha evidenziato tendenze assolutamente inaspettate dell’inconscio e del conscio femminile. Credo che sia soprattutto una ricerca di sensualità, aspetto che molto spesso manca nell’uomo e che invece è fondamentale per un approccio armonioso con il sesso. Come a ripetere la solita frase da manuale “la donna ama il contenuto e non l’involucro”.

“Concludere che tutte le donne siano bisessuali sarebbe una generalizzazione della sessualità femminile. E’ la nostra apparente flessibilità che ci da’ una maggiore predisposizione alla bisessualità rispetto al mondo maschile”. Luki Massa, regista e presidente associazione lesbica Fuoricampo di Bologna: “Fondamentalmente penso che ogni individua/o debba avere la libertà di autodeterminazione nelle scelte corpo/mente. Se la bisessualità parte da questo allora diciamo che esiste. La mia scelta e il mio sentire di essere lesbica è profonda sia nel privato che nel politico e per questo ho scelto un percorso di visibilità in una associazione lesbica proprio per sradicare facili stereotipi oltre che pericolosi pregiudizi. Un percorso del genere non lo vedo fare a donne che si definiscono bisessuali. Lo vivono più nel privato e questo lascia spazio al dubbio che la bisessualità sia una posizione di comodo. E poi domanda: si è bisessuali finche non ci si innamora di una donna?” (Monica Maggi- Affari Italiani)

Tendenze. Se tua moglie ti tradisce con un’amica…
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Sono le scarpe l'oggetto del desiderio. Ma le donne non sanno vivere senza i jeans

Un capo su tutti mette d'accordo donne di ogni latitudine: i jeans, irrinunciabili. I jeans sono un passe-par-tout che fa sentire sempre a proprio agio: lo pensa il 45% delle italiane, il 64% delle australiane e addirittura l'84,5% delle indiane ha nell'armadio capi in denim. L'oggetto fashion assoluto? Le scarpe senza dubbio. Ne sono convinte il 63% delle russe, il 49% delle greche e il 45,5% delle italiane.

Oltre ad essere l'oggetto più fashion, le scarpe sono anche l'oggetto più collezionato al mondo, a cui la donna non resiste: fanno eccezione le indiane che preferiscono le sciarpe, ma possiedono svariate paia di scarpe il 36% delle croate, il 45% delle greche e il 37% delle olandesi. E' quanto emerge da una grande inchiesta internazionale, la prima, sulla moda: l'ha proposta Grazia in collaborazione con il proprio network internazionale, attraverso un questionario di 52 domande, per scoprire tutto sul rapporto delle donne con la moda, i marchi, lo shopping.


Affaritaliani.it - Moda





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venerdì 9 gennaio 2009

Marina Berlusconi Sposa in D&G

Nel weekend una importante cerimonia è stata celebrata in casa Berlusconi: la figlia del primo ministro, Marina Berlusconi, si è infatti sposata con Maurizio Vanadia, un ex ballerino della Scala. Marina, figlia di Silvio Berlusconi e della prima moglie Carla DellOglio, per l’occasione ha scelto di vestire un abito di Dolce & Gabbana, che lei ha scelto accuratamente solamente venerdì sera tra una serie mandati appositamente dai due stilisti. Realizzato in raso di seta color avorio, sembra essere stato anche molto apprezzato da papà Silvio per la sua sobrietà. La cerimonia si è svolta tra pochi intimi nella Villa San Martino ad Arcore, nella cappella seicentesca al suo interno.


marina berlusconi sposa

Il vestito dello sposo invece, è stato realizzato dal famoso sarto Gianni Campagna, che per l’occasione ha creato un tight scuro, che ha copiato in versione mini anche per i figli della coppia. Le foto della cerimonia non sono ancora uscite sui giornali, ma ben presto ne vedremo alcune in esclusiva sul settimale Chi, da dove anche le foto dei due sposi sono tratte. Non resta che fare i nostri migliori auguri ai due sposi, partiti già per il loro viaggio di nozze, dopo aver avuto la benedizione di papà Silvio.


Strabello
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domenica 4 gennaio 2009

Vogue, complotto contro la Wintour

Anti-Wintour image created and distributed by ...Image via Wikipedia

Anno nuovo facce nuove. Potrebbe essere questo il ritornello che accompagnerà il naufragio professionale di Anna Wintour: la direttrice di Vogue che ha ispirato il personaggio del film "Il Diavolo Veste Prada". Secondo i bene informati l'ingombrante prima donna della moda avrebbe perso potere. Il Time l'ha piazzata al primo posto di una classifica dei "passi falsi" dell'anno appena trascorso in fatto di eleganza.

Per l'autorevolissimo settimanale americano, l'insulto al bel vestire è stato commesso in maggio al Gala del Constume Institute di New York. La direttrice di Vogue si è presentata con un abito di Karl Lagerfeld "che sembrava incrostato di fossili e molluschi": per Time, una "Waterloo" nella storia della moda contemporanea.

L'anno appena iniziato rischia di trasformarsi in un incubo per la famosa e potente direttrice di Vogue. Probabilmente dietro l'attacco del Time c'è chi trama per favorire un pensionamento anticipato alla Wintour. Da giorni circola il nome di Carine Roitfeld, francese classe '54, direttrice di Vogue Francia come possibile nuova numero uno di Vogue America.

Sta per accadere ciò che accadde nel film, dove ad insidiare la "vecchia" volpe c'è una parigina. Ma questa non è fiction e la provocazione del Time, orchestrata o meno da qualcuno, dimostra come l'epoca della Wintour, che decide cosa è "in" o cosa è "out", che decreta fortuna e sventura di uno stilista o di una marca, è al crepuscolo.

Supposizioni che potrebbero presto trasformarsi in realtà soprattutto se si prende in considerazione un altro autorevole attacco al fortino della lady di ferro della moda internazionale. L'ultimo colpo ben assestato alla Wintour è arrivato dalle colonne del New York Times, dove senza giri di parole, Vogue America viene definito "stantio e prevedibile".



Vogue, complotto contro la Wintour
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venerdì 2 gennaio 2009

Sotto il vestito l'intimo è su misura

Una spallina che scivola, un pizzo che deborda. Che stress. Oggetti delicati, busto e seni di Monica Bellucci tra bretelle e coppe che ne enfatizzano tutte le bellezze. Per un baby doll di pizzo e tulle trasparente nero, come quello indossato dalla magica Monica, ci vogliono almeno tre prove. Per non parlare del reggiseno-Gilda, con inserti in raso color carne, preferito da Juliette Binoche, quattro sedute. Come anche, del resto, per la guêpière indossata da Catherine Zeta-Jones. Mentre per il modello Moiré che ha sedotto Emmanuelle Béart e Isabelle Huppert, di appuntamenti ne servono cinque (650-900 euro per un reggibalconcino, 200 per lo slippino, 2 mila per una camicia da notte, mille per un toppino).

Altro che la raffinata Victoria's Secret, altro che Yamamay per teen ager. Oggi, se vuoi essere à la page, l'intimo ti deve venire cucito addosso, modellato come una scultura. Da Las Vegas a Hollywood, New York, Parigi, Londra, è tutta una corsa in rue Cambon, al Faubourg Saint Honoré, ad assicurarsi culotte e push-up di Poupie Cadolle, discendente di Herminie, l'inventrice del reggiseno.

La lingerie su misura è l'ultimo, inatteso capriccio di uno shopping di lusso che in epoca di crisi non demorde. Al contrario. Nel tourbillon economico, i nuovi e più recenti ricchi si fanno più esclusivi e selettivi. Oggi è di gran moda la griffe sempre più personalizzata, connotata dal sapore di un artigianato sofisticato: a stilare il catalogo, a raccontare la storia e le inclinazioni degli ultimi «luxuriosi», di quelli con il portafoglio a pagnotta che hanno imboccato la nouvelle vague della ricchezza in un mondo in recessione, arriva «Deluxe. Come i grandi marchi hanno spento il lusso» (De Agostini) di Dana Thomas, corrispondente a Parigi di «Harper's Bazar» Australia.

Secondo il World Wealth Report, negli ultimi due anni sono stati monitorati 8,3 milioni di milionari con disponibilità finanziarie per circa 240 miliardi di euro. Di recente è cresciuto il numero dei milionari con entrate tra i 4 e i 24 milioni. I Paperon de' Paperoni che resistono al tornado stanno però cambiando tendenze e gusti. A partire dal basso, dalle scarpe, per esempio. Addio a Gucci e Tod's, Hogan e Prada, brand per tutti, addio agli acquisti forsennati in questa comune industria del lusso che ha un giro di affari da 125 miliardi di euro e smercia abbigliamento, pelletteria, cosmetici e altri simboli di uno stile agiato. Il sabot, il sandaletto, lo stivaletto è emblema della vera ricchezza, di quella che procede a passo di carica, solo se forgiato su commissione dal mago, Christian Louboutin. Questo designer, oggi quasi più famoso di Manolo Blahnik che deve la sua notorietà alle ragazze di «Sex and the city», si riconosce dalla suola colorata rosso-blu e dal tocco con cui addobba, ma soprattutto personalizza, le più celebri estremità. Come quelle di Jennifer Lopez e di Victoria Beckham che le sue Louboutin le vuole con intarsi di oro, alternati con materiali più particolari, come il satin o la lana mohair. O di Christina Aguilera e Hilary Duff che indossano le «Bruges» in pelle lucida ma, per loro, con tacchi tempestati di pietre; oppure di Mary-Kate Olsen e Lindsay Lohan che si arrampicano sulle «Very Prive», con stiletto da 12,5 centimetri, sempre per loro, intarsiate di pizzo.

Pure il gioiello ora fa tendenza solo se si confeziona su misura. Il più gettonato artefice-orefice è il notissimo Boucheron di Place Vendôme, dove sono passati il maharajah di Patiala, Bhupinder Singh, la duchessa di Windsor e il principe di Galles, i rampolli dei Rockefeller, degli Astor, dei Vanderbilt. Ma adesso «la produzione su ordinazione - spiega Boucheron - è cresciuta al ritmo del 15 per cento l'anno». Così Nicole Kidman opta per l'orecchino floreale, montato per lei con rubini e diamanti; Cameron Diaz per l'anello in oro bianco, assolutamente unico con un pavé di zaffiri cabochon; Katie Holmes, Julianne Moore e Anne Hathaway, per collane altrettanto particolari a foglie larghe e smeraldi.

Anche la pelletteria imbocca una strada analoga. Il monumento Hermès si piega ai desiderata: confeziona borse come custodie per violino, internamente rivestite di foulard con il celebre marchio, allestisce set di valigie strampalate, come quelle con personaggi dei Pokemon per acquirenti del Sol Levante. Nel mondo della ricchezza esagerata persino il profumo diventa una mistura ad personam da 55 mila euro: Jean-Michel Duriez, presso Patou, riceve ordinazioni da tutto il mondo e imbottiglia in speciale cristallo Baccarat.

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Bombay Bicycle Club

Bombay Bicycle Club : I Bombay Bicycle Club sono una band indie rock londinese formatasi nel 2005. La band si è formata nel quartiere di Cro...